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Iraq: missione di pace per il Colle,
di guerra per Rifondazione |
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Roma, 7 dic (Velino) - “Il governo e il ministero della Difesa sono
impegnati a costruire l’unità” sul ruolo del nostro Paese nelle missioni
militari internazionali: a margine della cerimonia di riconsegna della
bandiera di Nassiriya, il ministro della Difesa, Arturo Parisi, si
sofferma sugli sforzi profusi affinché “dietro le scelte che riguardano
la politica estera e di difesa ci sia tutto il Paese”. È importante -
rimarca Parisi - che i militari impegnati all’estero sappiano di avere
“dietro le spalle tutti. Non possono immaginare di tornare a casa e
trovare comunità divise, famiglie divise, amici del bar divisi tra chi
gli dice bravo e chi gli chiede conto di quello che hanno fatto”.
Eppure, è noto che sul ruolo italiano in Iraq si siano registrate
profonde spaccature non solo tra le forze politiche ma anche nel Paese.
Lo stesso Parisi ha accennato - nel discorso tenuto a Caserta - alle
“legittime diversità” esistenti. Aggiungendo però che “esiste un piano”
in grado di superarle. E di farci sentire “tutti componenti di una
grande comunità: un piano che chiama tutti e ognuno a riconoscersi nelle
decisioni assunte dalla Repubblica attraverso le regole della
democrazia”. Il riferimento di Parisi alle “legittime diversità” è stato
particolarmente apprezzato da Elettra Deiana, vicepresidente della
commissione Difesa della Camera, presente oggi a Caserta. Per la Deiana
“bene ha fatto il ministro Parisi sia pure nel quadro di un forte
richiamo al ruolo che svolgono le forze armate per il nostro Paese, a
ricordare i contrasti che hanno accompagnato questa missione, così come
il sacrificio di tanti soldati italiani che hanno perso la vita”.
L’esponente di Rifondazione esprime soddisfazione “per il rientro delle
truppe italiane dall’Iraq e la fine della nostra partecipazione ad una
guerra pericolosa per gli equilibri del Medio Oriente e in contrasto con
il dettato costituzionale”. Una prospettiva non solo inconciliabile con
quella di Parisi, ma anche opposta alla linea del capo dello Stato,
Giorgio Napolitano. Che oggi a Caserta l’ha ribadita scandendo: “I
nostri militari si sono impegnati in Iraq sentendo la missione cui erano
stati chiamati non come impresa bellicista, non come impresa offensiva,
ma come impresa di pace e di civiltà”. |
Napolitano ha anche messo in evidenza che “la diversità di opinioni tra
le forze politiche sull’invio e ora, per altro verso, sul ritiro dei
nostri militari dall’Iraq, va ricordata per la sua legittimità
democratica ma non ha potuto impedire la vicinanza dell’intera
collettività nazionale al contingente impegnato in quella difficile
missione, e la più profonda, affettuosa solidarietà per le prove di
sacrificio generosamente offerte dai caduti e dai feriti”. Quanto al
“contrasto con il dettato costituzionale” asserito dalla Deiana per la
missione Antica Babilonia, la prima carica dello Stato ha ricordato che
“per garantire la pace e la sicurezza internazionale può essere
necessario l’impegno delle forze armate di qualsiasi paese membro
dell’Organizzazione delle Nazioni unite, secondo il dettato del capitolo
Settimo della carta dell’Onu”. E se per un verso “è verissimo” che
nell’articolo 11 della Costituzione repubblicana “si esprime in tutta la
sua forza l’aspirazione alla pace del popolo italiano”, altrettanto vero
- ha fatto notare Napolitano - è che “la Carta costituzionale, in quella
stessa norma programmatica, e con piena chiarezza, ha impegnato l’Italia
a fare la sua parte nel contesto di organizzazioni internazionali cui
spetti fronteggiare sfide ed attacchi alla pacifica convivenza tra gli
Stati e tra i popoli, cui spetti dunque intervenire per contribuire al
superamento di laceranti e pericolose situazioni di crisi”. |
La differenza di veduta tra il presidente della Repubblica e
Rifondazione era già emersa in occasione dell’anniversario della strage
di Nassiriya. Quando Napolitano aveva osservato che i nostri soldati
morirono “in un nobile intento di pace” mentre erano impegnati in una
missione che mira alla “rinascita e al progresso dell’Iraq”. Ponendo
inoltre l’accento sul fatto che quei martiri “sono un esempio per tutti”
e “garantiscono i valori della Costituzione anche lontano dai confini
nazionali”. Nello stesso solco si sarebbe inserito Franco Marini,
seconda carica dello Stato, evidenziando in Senato che i militari
italiani morti a Nassiriya erano “andati a portare la pace”. Al
contrario, due giorni prima della commemorazione, Bertinotti, terza
carica dello Stato e leader di Rc, aveva sostenuto in un’intervista
televisiva che a Nassiriya i nostri militari non morirono “per la pace”.
Il presidente della Camera aveva aggiunto di avere “sempre pensato che
la nostra operazione in Iraq sia stata un’operazione sbagliata di
guerra”. Precisando però che questo “non riduce il dolore e il lutto
nazionale, che resta”. Quanto alla linea opposta tracciata dal capo
dello Stato, secondo il quale le nostre missioni militari all’estero
“rispettano nello spirito e nella lettera l’articolo 11 della
Costituzione”, Bertinotti aveva commentato: “Ho opinioni diverse da
quelle autorevolissime del presidente della Repubblica, che stimo
moltissimo. ma continuo a pensare che quelle sono state operazioni di
guerra. Come ha detto altrettanto autorevolmente un uomo ugualmente
prestigioso come Pietro Ingrao (il quale in un’intervista concessa a
Liberazione avrebbe ribadito la propria contrarietà
all’interpretazione di Napolitano, ndr), la guerra in Iraq è stata una
lesione grave dell’articolo 11 della Costituzione”. Il giorno successivo
a quell’esternazione televisiva, aprendo la seduta della Camera,
Bertinotti avrebbe commemorato la strage di Nassiriya ricordando tra
l’altro che “in quest’aula come nel Paese ci si è divisi sul conflitto
in Iraq e persino sul giudizio sulla sua natura, ma oggi questa
assemblea si ritrova unita nel lutto e nella commozione”. |
(Nicholas D. Leone) |
7 dic 16:49 |
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